Sentenza n. 219 del 1991

 

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SENTENZA N. 219

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 66, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 ("Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito"), promosso con ordinanza emessa il 12 marzo 1990 dalla Commissione tributaria di primo grado di Urbino sul ricorso proposto da Ciacci Franco contro Ufficio II.DD. di Urbino iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Con ordinanza in data 12 marzo 1990 la Commissione tributaria di primo grado di Urbino ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 66, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede il diritto del cessionario dell'azienda di avere notifica dell'avviso di accertamento relativo alla rettifica del reddito derivante dall'azienda nell'anno della cessione ed in quello anteriore. Oggetto del giudizio a quo era l'impugnativa dell'avviso di mora - notificato a Ciacci Franco, cessionario di un'azienda con atto registrato del 1979 -, avviso con cui l'Esattoria competente per il Comune di Carpegna gli intimava il pagamento dell'imposta sui redditi (ed accessori) di L. 3.795.976 non versata dal cedente (deceduto alcuni mesi prima della data della notifica) e relativa all'anno precedente l'atto di cessione dell'azienda medesima.

 

La Commissione rimettente - nel rilevare che l'azienda diventa un complesso di beni posto a garanzia del credito erariale senza che al cessionario sia assicurata alcuna possibilità di difesa - riteneva che la fattispecie era diversa da quella - esaminata dalla Corte costituzionale - del rappresentante legale di società od enti, il quale in quanto coobbligato si vede notificato solo l'avviso di mora, giacché quest'ultimo - a differenza del cessionario che è un terzo estraneo - ha comunque la possibilità di reperire e conoscere l'avviso di accertamento notificato alla società o all'ente.

 

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite l'Avvocatura generale di Stato, sostenendo la inammissibilità della questione per aberratio ictus giacché la disposizione impugnata contiene una norma sostanziale, prevedendo l'assoggettamento all'esecuzione forzata di taluni beni aziendali oggettivamente individuati. Inoltre l'Avvocatura sostiene che la questione è comunque infondata giacché il cessionario - che può comunque cautelarsi chiedendo all'Ufficio finanziario, ex art. 66, quinto comma, cit., di conoscere la posizione fiscale del cedente - non è legittimato a ricorrere avverso l'avviso di accertamento notificato al contribuente, essendo egli solo un terzo proprietario di beni assoggettati all'esecuzione forzata per la oggettiva inerenza all'azienda.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - È stata sollevata questione di costituzionalità dell'art. 66, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede il diritto del cessionario dell'azienda di avere la notifica dell'avviso di accertamento relativo alla rettifica del reddito derivante dall'azienda nell'anno della cessione ed in quello anteriore.

 

2. - Va premesso che l'art. 66 cit. - innovando la precedente disciplina posta dall'art. 197 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 - ha previsto una (limitata) garanzia del cessionario d'azienda per l'obbligazione tributaria del cedente avente ad oggetto l'imposta sul reddito delle persone fisiche (o giuridiche) e dell'imposta locale sui redditi dovute per l'anno in cui è avvenuta le cessione e per quello precedente allorché alla formazione degli imponibili abbiano concorso redditi derivanti dall'azienda ceduta. Tale garanzia è limitata ai beni mobili e alle merci dell'azienda ceduta (analogamente e parallelamente il successivo art. 80 prevede, in relazione alla stessa obbligazione tributaria, la possibilità per l'esattore di procedere all'espropriazione degli immobili che costituiscano beni strumentali dell'azienda), mentre in precedenza l'art. 197 contemplava una più ampia responsabilità solidale del cessionario, che quindi rispondeva con tutto il suo patrimonio. Pertanto nel nuovo regime della riscossione delle imposte dirette il cessionario d'azienda ha una posizione non dissimile da quella del terzo acquirente di bene assoggettato a garanzia reale.

 

3. - Va poi rilevato - in ordine all'eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura di Stato - che esatta è l'individuazione - quale operata dalla Commissione tributaria rimettente - della norma censurata nell'art. 66, primo comma, cit., individuazione che è coerente con la questione di costituzionalità sollevata, atteso che l'art. 66 (unitamente al successivo art. 80) disciplina compiutamente i profili tributari della cessione d'azienda; è questa quindi la sedes materiae - ove risultasse fondata la censura di costituzionalità - per un'eventuale pronuncia additiva che introducesse, come ulteriore garanzia di difesa per il cedente, l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria della previa notifica dell'avviso di accertamento.

 

4. - Nel merito la questione non è fondata.

 

La tutela del cessionario d'azienda non è confinata alla mera possibilità del ricorso all'Intendente di finanza ( ex art. 53 d.P.R. n. 602 del 1973) per la sospensione dell'esecuzione e all'eventuale giudizio civile di risarcimento del danno per l'illegittima esecuzione ( ex art. 54, terzo comma, ultima parte dello stesso d.P.R.) essendo stata estesa fino all'impugnativa dell'avviso di mora. Questa Corte (sent. n. 313 del 1985) ha infatti riconosciuto l'esattezza di quell'orientamento giurisprudenziale che - già prima che l'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (sulla disciplina del contenzioso tributario) fosse novellato dall'art. 7 del d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739 - includeva l'avviso di mora nel novero degli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie ancorché la sua notificazione non fosse stata preceduta da quella di altri atti (ed in particolare dell'avviso di accertamento); il nuovo testo dell'art. 16 prevede ora espressamente tale autonoma impugnabilità. Di tale principio è stata fatta applicazione al coobbligato in solido che abbia ricevuto solo la notifica dell'avviso di mora, non preceduta dalla notifica dell'avviso di accertamento in rettifica, talché la Corte, con ripetute ordinanze (ord. n. 48 del 1988; ord. n. 591 del 1988; ord. n. 246 del 1989; ord. n. 178 del 1990), ha escluso che in tale fattispecie fosse configurabile una lesione del diritto di difesa. Deve pertanto affermarsi - come peraltro ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione proprio in riferimento alla fattispecie della cessione d'azienda ( cfr. Cass. 2 novembre 1990 n. 10553) - che anche al cessionario non sia preclusa la possibilità di far valere le sue ragioni nel processo tributario impugnando autonomamente l'avviso di mora. Tale tutela innanzi alle Commissioni tributarie è ampia potendo egli contestare i presupposti della sua (limitata) responsabilità (quali previsti dall'art. 66 cit.), nonché - secondo un orientamento maggiormente garantista della Corte di cassazione sulla posizione del terzo acquirente di immobile gravato da privilegio fiscale (Cass. 11 ottobre 1988 n. 5469) - anche la sussistenza del debito d'imposta del cedente.

 

5. - Né la tutela del cessionario d'azienda può dirsi compressa, con sospetta violazione dell'art. 24 Cost., per effetto della mancata previa notifica dell'atto di accertamento. Infatti da una parte legittimamente il cessionario non è destinatario di tale accertamento non essendo debitore dell'obbligazione d'imposta, ma solo assoggettato ad una responsabilità patrimoniale scissa dal debito e limitata ai beni mobili (ed immobili) dell'azienda acquistata. D'altra parte l'ultimo comma dell'art. 66 cit. riconosce al cessionario il diritto al rilascio, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di una certificazione dalla quale risulti il reddito d'impresa relativo all'azienda acquistata, norma questa da interpretarsi - coerentemente con le esigenze di tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.) - in senso ampio sì da comprendere l'intera situazione tributaria dell'azienda medesima. Pertanto già prima della notifica dell'avviso di mora il cessionario (che diligentemente intenda cautelarsi) può ottenere i dati informativi necessari per resistere ad un'eventuale pretesa dell'Amministrazione finanziaria. Né va pretermesso che la posizione del cessionario d'azienda - sotto il profilo della conoscibilità degli elementi di fatto rilevanti al fine della contestazione della sua responsabilità - non è deteriore rispetto a quella dell'obbligato solidale ex art. 98 d.P.R. n. 602 del 1973 in ipotesi di avvicendamento nella rappresentanza o di dichiarazione di fallimento del contribuente (ipotesi per le quali questa Corte, nella citata ordinanza n. 246 del 1989, ha già escluso ogni violazione del diritto di difesa). Inoltre, nel giudizio di impugnativa dell'avviso di mora, grava sempre sull'Amministrazione finanziaria l'onere probatorio di dimostrare i presupposti della responsabilità del cessionario, il quale ha ogni possibilità di difesa essendo in particolare consentita dall'art. 19- bis d.P.R. n. 636 del 1972 la presentazione di motivi aggiunti anche successivamente all'atto introduttivo del giudizio.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 66, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Urbino con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1991.

 

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1991.